Come costruire il bene comune in una società disarticolata come quella attuale? Come operare al servizio del bene collettivo?
“… con gentilezza, lungimiranza, fierezza e resistenza“ risponde l’Arcivescovo mons. Delpini nel suo tradizionale Discorso alla città per la ricorrenza di Sant’Ambrogio, patrono della città e della Diocesi.
Intervento dell’Arcivescovo mons. Delpini
Con un intervento calibrato nei temi e nei toni l’Arcivescovo non ha esitato a sottolineare che, «in un tempo di fatica esistenziale per tutti, per il crescere dell’ansia, a seguito della interminabile pandemia, occorre uno stile nell’esercizio dei ruoli di responsabilità che assicuri e rassicuri, che protegga e promuova, che offra orizzonti di speranza, anticipando, nella fermezza e nella gentilezza, il senso promettente e sorprendente della vita, con un agire non tanto e non solo solidale, ma sinceramente fraterno».
“Si avverte – continua Delpini – che nella nostra società sono presenti persone e organizzazioni che disprezzano la vita umana, cercano in ogni modo il potere e il denaro.
Si approfittano dei deboli, fanno soldi sulla rovina degli altri, distruggono giovinezze inducendo dipendenza dalle sostanze stupefacenti, dall’alcool, dal gioco, dalla pornografia.
Si approfittano di coloro che attraversano difficoltà economiche e distruggono famiglie e aziende con l’usura, seminando paura, imponendo persone, convincendo di situazioni irrimediabili e di prepotenze incontrastabili che inducono alla resa prima della lotta e alla rassegnazione invece che alla reazione onesta, condivisa con le istituzioni, fiduciosa”.
Per ribaltare questa situazione ogni giorno più pesante e drammatica “la nostra società non ha bisogno solo di forme più severe di controllo, di interventi più incisivi della politica e delle forze dell’ordine.
La nostra società ha bisogno di abitare i territori dell’umano, allorquando si sbilancia su e con un nuovo umanesimo; la nostra società ha bisogno di presidiare le relazioni interpersonali, a fronte di una deriva delle stesse; … ; di lasciarsi interpellare dagli ultimi della fila, dai vuoti a perdere, dalle vite da scarto”.
C’è bisogno di gente che resista
La conclusione è quasi perentoria: “La nostra società ha bisogno di farsi accorta nel custodire i desideri, senza inseguire – ossessivamente – tutti i bisogni (indotti e attribuiti, anche nella sanità e nell’assistenza); di rendersi conto che i problemi del welfare non riguardano solo qualcuno, ma interpellano tutti, nel possibile e plausibile rischio di una generalizzata esposizione alle grandi e nuove fragilità immateriali e dunque esistenziali.
Ha bisogno di artigiani del bene comune che contrastino i disonesti e i prepotenti: è necessario resistere e far crescere la rettitudine morale.
Devono essere coltivate l’interiorità lucida e l’opinione pubblica concorde nel ritenere ignobile il comportamento disonesto, nell’emarginare chi vuole imporsi e insegna ai figli e ai giovani a fare della prepotenza un titolo di merito.
C’è bisogno di gente che resista. Che resista con la gentilezza di chi sa che cosa sia bene e che cosa sia male e compie il bene perché ha fiducia nell’umanità, ha fiducia nelle istituzioni, ha fiducia in Dio.