Lo schianto pilotato di Airitaly devasta il traporto aereo nazionale

La crisi del trasporto aereo post Covid avrà come prima vittima illustre la compagnia aerea Airitaly in liquidazione da ormai un anno

Lo schianto pilotato di Airitaly devasta il traporto aereo nazionale

E' stato un volo breve, fin troppo, quello della Compagnia Aerea Airitaly nata nel 2018 sulle ceneri di Meridiana per volontà del fondo AKFED di proprietà di SAR il principe ismaelita Karim Aga Khan (azionista di maggioranza col 51%) e del fondo sovrano del Qatar (49%) con la la realizzazione di AQA Holding proprietaria del vettore.

La difficile filiazione della joint venture italo qatarina, doppione speculare anche nelle quote azionarie del modello fallimentare realizzato dalla defunta Alitalia con gli Emiri di Etihad, era durata due anni ed aveva avuto come garante e supervisore l'esecutivo tecnico del Governo Renzi, con i suoi ministri e sottosegretari del PD, tra cui Graziano del Rio (Trasporti), Enrico Poletti (Lavoro) e Maria Teresa Bellanova (MISE), che avevano convinto i sindacati di Airitally a firmare un Accordo Quadro "lacrime e sangue" che prevedeva un drammatico abbassamento del costo del lavoro (soprattutto se rapportato ai colleghi di AZ) e centinaia di esuberi che non trovarono più posto nella nuova compagine.

La conferenza stampa di presentazione dall'Hotel Excelsor Gallia di Milano fu seguita in mondovisione con la presenza del CEO di Qatar Airways, "Sua Eccellenza" (come è conosciuto nell'ambiente) Akbar Al Baker, il presidente del fondo Akfed Sultan Allana e quello di Airitaly Francesco Violante.

Furono lanciati proclami ambiziosi ed impegnativi quali una flotta prevista di 50 aeromobili, tra cui 30 B787 d lungo raggio e 20 nuovi B737 Max per il corto e medio raggio (di cui Airitaly era cliente di lancio in Italia, aeromobile poi funestato dai luttuosi incidenti) e l'assunzione di  ben 10.000 dipendenti in 5 anni.

Il governo Renzi ovviamente era in tripudio perché reputava l'aver affidato le prime due compagnie aeree nazionali ai facoltosi emiri di Qatar e di Abu Dhabi, che ne avevano al di là della quota azionaria minoritaria il completo controllo, una "mossa da maestro".

Peccato che l'Italia perdesse così definitivamente la sovranità del proprio trasporto aereo (d'altronde a chi interessava?) e che le compagnie aeree arabe non avessero alcuna intenzione di sviluppare i nostri vettori nazionali ma in realtà di predare il ricco mercato italiano facendo pagare agli sprovveduti azionisti nazionali contratti capestro per qualsiasi asset aziendale, dagli onerosi leasing degli aeromobili, alle pacchiane divise delle assistenti di volo, dove il raffinato gusto della moda italica era ormai solo uno sbiadito ricordo.

Ovviamente sia in Airitaly, sia in Alitalia, tutto veniva deciso dai capricciosi emiri arabi che imponevano i loro uomini di fiducia in tutte le posizioni chiave dell'organico, telecomandando qualsiasi scelta strategica delle due aziende.

Resta inafatti un mistero assoluto come mai Airitaly non abbia mai nominato un AD o un CEO e che la conduzione dell'azienda venisse invece affidata a Rossen Dimitrov, un ex assistente di volo bulgaro ritenuto uomo di fiducia di Al Baker.

Per cui gli aeromobili della flotta venivano noleggiati con contratti capestro dalla compagine mediorientale, modelli ritenuti troppo vecchi per essere usati dai ricchi finanzieri arabi, come nel caso degli A330 presi in leasing da Airitaly e pagati al triplo del pezzo di mercato ai lessor qatarini o sborsando enormi budget per operazioni di manutenzione aventi costi da programma spaziale.

Il tutto però alternando sia in Airitaly, sia in Alitalia, sontuose cene, cocktail danzanti, presentazioni mediatiche ad uso della stampa o pride arcobaleno nelle principali città del mondo.

E a farne le spese come al solito i dipendenti che prima venivano privati degli stipendi ed oggi del lavoro.

"A pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca..." diceva il compianto Andreotti e questo sembra il caso soprattutto di Airitaly che sembra sia stata affondata "ad hoc" dal suo management una volta che il vettore qatarino ha reso oporativo un accordo con le Major nordamericane che prima osteggiavano il vettore italiano per i ricchi diritti di traffico intercontinentale sul nord Atlantico (strana analogia col drone di Piaggio Aerospace) mentre il Governo italiano che doveva garantirne il controllo e la supervisione stava a guardare in silenzio, forse perché distratto dalle infinite crisi politiche ed istituzionali.

"Tempus fugit", soprattutto nel caso dei 1500 dipendenti di Airitaly, che a marzo vedranno riattivare la procedura di licenziamento collettivo, prevista un anno fa dalla messa in liquidazione volontaria dell'azienda da parte degli azionisti, scelta presa ben prima dell'inizio della pandemia di Covid19 che ha comporato provvidenzialmente il blocco dei licenziamenti.

Quindi sarà la prima volta, nella storia dell'avizione civile italiana, che una compagnia aerea nazionale verrà chiusa per scelta volontaria e non per fallimento e l'unico disastro aziendale che gli si avvicina è la scomparsa della compagnia aerea Itavia avvenuta negli anni '80 per ben più funesti motivi.

E che sarà dei lavoratori, tutti eccellenti professionisti con altissime qualifiche tecniche, tra cui comandanti, piloti, tecnici, ingegneri, assistenti di volo e personale amministrativo, molti ormai nella quinta decade di vita, con ancora possibili anni di impiego ma con l'impossibilità di fatto di riciclarsi o di riqualificarsi, tranne pochi fortunati casi, in un contesto diverso da quello aeronautico, nella grave crisi economica derivata dalla pandemia.

Per questo si sta guardando con flebile speranza a qualsiasi possibilità di rilevare il COA (ovvero il certificato di operatore aeronautico, che comprende naviganti, centro di manutenzione e d'addestramento) del vettore italo qatarino che potrebbe essere usato per far decollare la nuova ITA solo se questo fosse gradito ai vertici dell'esecutivo nazionale.

Ultimamente è arrivata per Airitaly un'offerta di acquisto da parte di un fondo anglo sassone dal nome mistico ed esoterico: Abraxas, ma al momento non ci sono novità confortanti.

Di fronte a questo disastro aziendale, superiore per numero di dipendenti licenziati alle crisi di Whirlpool, di ILVA o di Embraco, si prospetta all'orizzonte un problema etico e costituzionale non di poco conto per l'esecutivo di Mario Draghi e soprattutto  a carico dei ministri del MISE Giorgetti e dei Trasporti Giovannini.

La nascente ITA che sarà un vettore nazionale di Stato, ovvero un azienda pubblica, che dovrà garantire una dimostrata discontinuità con la vecchia Alitalia, sembra voler sbarrare le porte ai licenziandi di Airitaly, il tutto in un silenzio assordante delle istituzioni e dei mass media e con l'avvallo di qualche sindacato confederale nazionale, già fin troppo preoccupato dei molti esuberi previsti oggi in AZ.

La crisi delle due principali aziende italiane di trasporto aereo, strategiche per l'economia della nazione e per il suo turismo, rappresenta l'ennesimo fallimento del "sistema Italia," un paese ormai ampiamente colonizzato dagli stranieri grazie ad una svendita di asset e di servizi indispensabili ed oggi definitivamente messo al tappeto dalla pandemia.

E se non ci dovesse riuscire il governo dei "migliori" a risollevarne le sorti, se non dovesse essere efficace l'azione di mediazione di super Mario, l'uomo dell'Europa, il premier dal forte mandato, l'economista di Stato, l'uomo che sussurava alle banche, vorrà dire che è poprio finito il tempo per la sovranità dei cieli italiani.