Domenica delle palme doppio due punto zero

Domenica delle palme doppio due punto zero

DOMENICA DELLE PALME DOPPIO DUE PUNTO ZERO

 
Ce lo ricorderemo questo duemilaventi, ci pensavo stamattina mentre camminavo da solo lungo le solite stradine strette e ripide che stanno facendo da cornice alle mie giornate nuvolose ed alle sere ancora molto fredde. Pensavo che ce lo ricorderemo proprio quest’anno, con questa sua numerologia quasi profetica che suggerisce un doppio due punto zero, un doppio stop con ripartenza all’insegna della rigenerazione, della forza di reinventarsi ripensando una vita come non avremmo mai immaginato. Pensare allo spazio e al tempo che si fermano che rimangono immobili, costringe ad una sensazione claustrofobica che toglie il fiato. Poi rifletti, ti scrolli a fatica di dosso l’angoscia, piano piano riprendi a ragionare in modo lucido, con l’ossigeno che torna a far visita al cervello e ti convinci che questo tempo e questo spazio fermi, cristallizzati, in realtà sono solo la faccia di una medaglia che per noi vale ancora molto. Lo capisco quando camminando incontro e saluto giovani e anziani sull’uscio di casa, molti mi salutano con le lacrime agli occhi, altri con un sorriso di speranza. Sono tutti impegnati in quello che fino allo scorso anno era un rito collettivo ed oggi questo mostro invisibile ha trasformato in opera di manualità e ingegno individuale, solitaria e silenziosa. Potrei chiamarla ostinazione, voglia di normalità, àncora di speranza, potrei, in assenza di un presente definito parlare di una pratica necessaria che invita a guardare al passato per trovare la forza di immaginare un futuro. Di certo c’è un dato che ho trovato illuminante nell’arte dell’intreccio delle palme in questa giornata particolare, qualcosa che mi è entrata dentro lacerando la carne come le spine del pero selvatico che mi entravano nel palmo dalla mano quando ero ragazzo e mi davano il tormento per giorni fin quando non finivo dal medico che doveva incidere ed estrarre. C’è qualcosa di catartico, di romantico e struggente nelle immagini che ho impresso nella mente stamattina. In quei fermo immagine davanti a quelle case c’è un legame con una storia personale che si fa collettiva e torna personale e si rifà collettiva in un continuum di cui non riesco a immaginare un inizio e una fine. 
 Questa mattina non c’era nessuna spina da estrarre, nessun bisturi, ne punti di sutura ne sangue da asciugare, c’erano solo volti di giovani ed anziani scolpiti nella loro sofferenza, nella speranza, nella ricerca affannosa di normalità da trovare nella riproposizione di una tradizione che quassù da noi si avverte come cifra genetica, come codice identificativo, come senso di appartenenza ad una comunità, come nastro che si riavvolge riproponendo le immagini delle nostre vite. L’intreccio delle foglie di ulivo su quello scheletro di canna che richiama la figura femminile, l’abbondanza, la fertilità, il mito di Demetra e Persefone, il fortissimo legame di questa terra con una matrice agro pastorale, su queste montagne mai del tutto scomparsa, quest’opera certosina che profuma di foglie di ulivo, di fiori da campo, di primizie di stagione, che sa di primavera e di rinascita, regalandoci un metafora mai come oggi necessaria, mi ha fatto piangere e poi sorridere, mi ha stretto in un giogo di emozioni che per un attimo mi ha fiaccato le gambe stordendomi. In quel lavoro individuale, paziente, discreto e silente, ho ritrovato la voglia di ognuno di urlare che nulla è cambiato, perché l’alba di questa domenica delle palme a Bova è stata dolorosa per tutti, con quel risveglio che ha consegnato la certezza di non potersi ritrovare, di non potere rinnovare il rito, di essersi dovuti fermare creando un vulnus che nessuno potrà ricucire. Voglia di normalità e di speranza sono le prerogative che accomunano tutti, specie quando arrivano certe date che non sono solo un puntino rosso sul calendario, sono molto di più, sono un accento sulla storia di ognuno. Ecco, quando realizzi che quella storia si è interrotta avverti un tuffo al cuore, senti un dolore difficile da lenire, è come se qualcuno avesse rubato una parte di te. La valanga di like sui post di Facebook che sintetizzano il senso di questa giornata particolare, parlano chiaro, come le migliaia di immagini delle domeniche delle palme che furono, quelle che già da ieri spopolano in rete alimentando un sussulto nostalgico che vuole farsi anche segnale di buon auspicio per qualcosa che sappiamo dovrà tornare, perché non potrà essere altrimenti, perché ogni inverno, per quanto lungo, per quanto rigido attende sempre la sua primavera, con fiducia, la stessa con cui rimaniamo al nostro posto, a scrivere in silenzio e con qualche lacrima un’altra storia,  nell’attesa che i fianchi delle montagne tornino a colorarsi di giallo.