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    Agrigento, “cosa nostra” 48 indagati, fermo indiziario di delitto

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    By Debora Saitta on 14 Gennaio 2025 Cronaca
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    Agrigento, Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, misure cautelari per 48 persone, fermo indiziario di delitto, perquisizioni: tra le altre cose, un arsenale con numerose armi e munizioni anche da guerra, tra cui una bomba a mano e una pistola mitragliatrice e 80.000 euro, in contanti.

    Agrigento 14 Gennaio 2025, all’alba di oggi, i Carabinieri del Comando Provinciale di Agrigento, in Agrigento, Favara (AG), Canicattì (AG), Porto Empedocle (AG), e Gela (CL), con il supporto dei colleghi del Comando Provinciale di Caltanissetta, hanno dato esecuzione a un Ordinanza di Misure Cautelari Personali emessa dal GIP del Tribunale di Palermo su richiesta della locale Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia  – nei confronti di 51 indagati (in parte già ristretti in carcere), tutti cittadini italiani, gravemente indiziati, a vario titolo, di appartenere all’organizzazione mafiosa denominata “cosa nostra”, di far parte di associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e altro.

    51 indagati tra cui 24 soggetti sottoposti a misure cautelari lo scorso mese

    Nei confronti dei suddetti 51 indagati, dei quali fanno parte anche tutti i 24 soggetti colpiti lo scorso mese di dicembre dal provvedimento di fermo di indiziati di delitto emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, per 36 di loro è stata disposta la misura cautelare in carcere, mentre per i restanti 15 la misura cautelare degli arresti domiciliari. 

    L’organigramma criminale

    Il provvedimento trae origine dalle attività d’indagini svolte dal Nucleo Investigativo del Reparto Operativo Carabinieri di Agrigento e dirette dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, iniziato a dicembre 2021 e protrattesi fino ad oggi.

    Famiglie mafiose di Porto Empedocle e di Agrigento/Villaseta

    Gli inquirenti hanno ricostruito l’organigramma e le attività criminali delle famiglie mafiose di Porto Empedocle e di Agrigento/Villaseta, con probabilmente a capo rispettivamente MESSINA Fabrizio, pregiudicato di anni 49, e CAPRARO Pietro, pregiudicato di anni 39, a dimostrazione che, pur essendo stata sensibilmente intaccata nel corso degli anni da varie operazioni, “cosa nostra” agrigentina è tutt’oggi pienamente operante, dotata di ingenti disponibilità economiche e di numerose armi, per di più in un contesto caratterizzato da una  instabilità degli equilibri mafiosi faticosamente raggiunti nel tempo, cui si aggiungono i sempre più pericolosi, persistenti e documentati collegamenti tra gli associati ristretti all’interno del circuito carcerario e gli ambienti criminali esterni.

    È stato riscontrato, infatti, un sistematico utilizzo di apparecchi telefonici da parte degli uomini d’onore, o di soggetti contigui al sodalizio, durante i rispettivi periodi di detenzione, lasciandone in tal modo inalterate le capacità di comando e consentendo loro di mantenere i contatti con i correi in libertà e di impartire ordini e direttive.

    Estorsioni, detenzioni di armi, incendi e danneggiamenti

    Gli inquirenti hanno acquisito e raccolto, dei chiari elementi in merito ai numerosi reati (estorsioni, detenzioni di armi, incendi e danneggiamenti), realizzati avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416 bis c.p.

    Nel corso dell’attività investigativa, si ritiene dunque che i sodali, avvalendosi della forza di intimidazione derivante dall’appartenere all’organizzazione mafiosa denominata “cosa nostra”:

    • costringevano l’amministratore di una società aggiudicataria dei lavori di raccolta e di trasporto di rifiuti nel Comune di Agrigento, ad assumere quali operai almeno cinque persone a loro legate per vincoli familiari o comunque di loro fiducia;
    • costringevano il legale rappresentante di una società di carburanti ad interrompere il rapporto lavorativo con un dipendente per sostituirlo con un’altra persona a loro gradita;
    • davano fuoco, al fine di danneggiarli, a due autocarri intestati a una ditta di costruzioni;
    • costringevano l’amministratore della società aggiudicataria dei lavori di riqualificazione della Piazza della Concordia del quartiere di Villaseta, ad assumere quale operaio una persona a loro gradita; inoltre costringevano anche la ditta aggiudicataria in subappalto degli stessi lavori ad assumere operai a loro graditi;
    • consumavano una rapina presso il distributore DB di Villaseta, durante la quale s’impossessavano della somma di 400 euro che sottraevano al dipendente utilizzando violenza e minaccia;
    • costringevano il titolare di un bar di Agrigento ed i suoi dipendenti, ad erogare loro cibi e bevande senza pagarne il corrispettivo, così procurando a sé l’ingiusto profitto conseguente alla consumazione gratuita di generi alimentari;
    • costringevano, mediante ripetuti atti di violenza e minacce esplicite, il titolare di un esercizio commerciale di Agrigento a corrispondere loro mensilmente la somma di 1.000 euro, così procurando a sé e ad altri l’ingiusto profitto conseguente all’indebita acquisizione della somma di denaro;
    • davano fuoco, al fine di danneggiarlo, a un furgone intestato ad una rivendita di bevande di Porto Empedocle;
    • in altra circostanza esplodevano diversi colpi d’arma da fuoco nei confronti della saracinesca della suddetta rivendita;
    • esplodevano, quale azione dimostrativa a scopo d’intimidazione, diversi colpi di arma da fuoco in direzione della porta d’ingresso dell’abitazione di un uomo di Agrigento, resosi colpevole di aver avuto un litigio con il figlio di uno dei sodali.

    Traffico di sostanza stupefacente

    Gli esponenti del vertice delle famiglie mafiose di Porto Empedocle e Agrigento-Villaseta risultano, inoltre, avere diretto e promosso due ulteriori distinte associazioni dedite al traffico di sostanza stupefacente che hanno acquisito in piena sinergia tra loro, il monopolio di siffatto redditizio settore criminale nella provincia di Agrigento.

    Entrambi i sodalizi criminali hanno, peraltro, dimostrato di possedere una non comune capacità di approvvigionamento mediante l’attivazione di contatti e rapporti commerciali non solo con i gruppi criminali delle altre province siciliane, ma anche con altri gruppi sia nazionali che esteri (Belgio, Germania e Stati Uniti).

    Numerosissimi e ingenti i trasporti della sostanza stupefacente, e la cessione a terzi, per poi essere rivenduta al dettaglio.

    Nel corso dell’indagine, infatti, sono stati sequestrati oltre 100 kg di hashish, oltre 6 kg di cocaina e, lo scorso mese di novembre, anche la somma in contanti di 120.000,00 euro contenuta in cinque pacchi sottovuoto occultati all’interno di un’autovettura.

    Le più recenti risultanze investigative hanno registrato un’improvvisa e allarmante recrudescenza di gravi atti intimidatori realizzati anche mediante l’utilizzo di armi, probabilmente dovuta sia all’imposizione del rispetto della “competenza” territoriale sia ai tentativi di osteggiare l’egemonia del gruppo mafioso allo stato al vertice della famiglia di Agrigento-Villaseta.

    Arsenale composto da numerose armi e munizioni anche da guerra, tra cui una bomba a mano e una pistola mitragliatrice cal. 9, nonché la somma in contanti di 80.000 euro.

    Si profilava, pertanto, il concreto rischio che potesse verificarsi un crescendo di azioni intimidatorie che avrebbe potuto portare alla commissione di reati ancora più gravi, ovvero quella che gli stessi indagati definiscono una vera e propria “guerra” di mafia, alla quale lo scorso mese di dicembre è stato posto un freno con l’esecuzione di un provvedimento di fermo di indiziati di delitto emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, in forza del quale sono state associate in carcere 24 persone ed effettuate numerose perquisizioni sia nell’immediatezza che nei giorni successivi, le quali permettevano di rinvenire e sequestrare, tra le altre cose, un arsenale composto da numerose armi e munizioni anche da guerra, tra cui una bomba a mano e una pistola mitragliatrice cal. 9, nonché la somma in contanti di 80.000 euro.

    Si rappresenta che, per il principio della presunzione di innocenza, la posizione degli indagati non è definitivamente accertata e il successivo giudizio di merito servirà a verificare le loro effettive responsabilità.

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